Dopo la sbornia del bipolarismo/Una grande occasione per il Paese e per il Pri

Finalmente si rimette in moto la politica

di Widmer Valbonesi

Finalmente si rimette in moto la politica italiana, dopo la sbornia del bipolarismo - quasi bipartitismo - che ci ha portato ad annullare le differenze ideali, il modo di vedere il modello di sviluppo del paese, che ha ridotto la politica a puro scontro per l’acquisizione del consenso per la conquista del potere, annullando con ciò il senso di responsabilità verso l’interesse generale, il bene comune che la migliore tradizione democratica ha sempre affidato a chi governa, col contributo dei partiti, come prevede l’art. 49 della Costituzione.

Di colpo - con le ideologie - sono stati cancellati anche gli ideali, come fondamento della politica intesa come la capacità di governare l’interesse generale del paese. Quello che era stato il contributo del pensiero riformatore del paese, soprattutto nelle minoranze repubblicane, democratiche e liberali, sempre minoritario ma decisivo negli equilibri politici e culturali del paese, diventava praticamente inutile nella logica dei muscoli e dei numeri.

Se era comprensibile che implodesse una forza come il PCI legata ad un’idea di comunismo che la storia aveva cancellato ovunque nel mondo e che la DC, come diga anticomunista, non avesse più senso, era auspicabile che la gente capisse che nel mondo le grandi democrazie erano governate dai principi della democrazia e del liberalismo.

In Italia, la magistratura e quei poteri forti - che vedevano in una concezione equa e nello strumento della programmazione delle scelte prioritarie, lo strumento vero per intaccare i loro privilegi - hanno favorito l’ascesa di Berlusconi e del berlusconismo. Questo consentiva, da un lato, al PCI di non fare autocritica fino in fondo, sperando di ingoiare i socialisti, uccidendo politicamente e moralmente Craxi e la sua autonomia riformista; dall’altro Berlusconi che ricostruiva il muro di Berlino, consentiva agli ex DC e ad un partito neofascista come quello di Fini di riciclarsi senza fare autocritica. Se si voleva che gli italiani non si interrogassero sugli errori dei partiti e ne dessero un giudizio politico, dopo che la storia ne aveva stroncato le radici ideali, occorreva inventarsi un mostro e semplificare il gioco politico - come se si stesse combattendo una guerra, non confrontandosi democraticamente per governare il paese. L’armata "rossa" di Occhetto, più che una macchina da guerra, senza una politica e col crollo dell’Unione Sovietica, era più un’armata Brancaleone che poteva aggregare vecchi arnesi comunisti e qualche catto-comunista in fuga dalla DC, un po’ del socialismo massimalista e qualche notabile in cerca di potere.

Berlusconi era un populista che si dipinse liberale per essere nuovo, ma che era invece frutto del monopolismo pubblico delle concessioni televisive, e che si trascinava dietro tutti i rottami della vecchia DC, qualche intellettuale socialista craxiano che mai si sarebbe acconciato a finire sotto all’egemonia catto-comunista, piccoli notabili liberali e le clientele corporative moderate che vedevano in lui il mantenimento dei loro privilegi. Con la sconfitta di Occhetto tramontava l’era di una forza di origine comunista egemone di una cultura di governo del paese e tutte le stagioni successive dall’Ulivo al PDS al PD sono fallite perché incapaci di rinnovarsi nei contenuti, partendo da una autocritica di quella che è stata l’esperienza del comunismo italiano per tanti versi più vicino all’URSS che alla democrazia occidentale; ma anche nella concezione dello sviluppo del paese, espressione di una cultura assistenziale come quella democristiana, accompagnata da quel massimalismo distruttivo che era tipico di chi non ha come obiettivo il governo ma la conquista del potere.

Anche nelle amministrazioni locali, dove diventava reale la cultura di governo della sinistra, si sono costruiti templi degli sprechi, e non il rigore, e veri "regimi" delle forze amiche; non l’innovazione, il merito e le pari opportunità di partenza, non le liberalizzazioni dei servizi pubblici che sono le vere opzioni di cultura liberaldemocratica.

Solo Prodi, nella sua rassicurante certezza che nulla sarebbe cambiato, ha avuto la possibilità di governare, ma sempre con piombo nelle ali dei ricatti da un lato della CGIL e dall’altro della sinistra massimalista. Allora meglio inventarsi il demonio Berlusconi ed ingaggiare tutti gli esorcisti disposti ad abbatterlo. I soliti noti, la magistratura che deve mantenere i privilegi di chi fa carriera per anzianità e non per merito, le banche che vanno comunque salvate anche quando speculano, la Chiesa che va rassicurata sempre e comunque, i sindacati che, nella politica di programmazione, dicevano la loro. Tanto che, con la politica di concertazione, si possono mantenere i privilegi di chi rappresenta i lavoratori pubblici supergarantiti, contrattare piccoli spazi per i precari ed abbandonare le prospettive dei giovani, sacrificate sull’altare di spesa pubblica corrente: per pensionati baby, con spreco di servizi pubblici inefficienti. Tutto, anziché gli investimenti.

La Confindustria di lotta e di governo, che rappresenta ormai solo il capitalismo parassitario e statalista, incapace di competere imprenditorialmente, chiede sussidi e finanza senza regole, accumula patrimoni senza pagare le tasse. Berlusconi non era granché, perché si è seduto a cullarsi sulle sue capacità comunicative, senza accorgersi che il mondo si stava avvitando sul giochino che qualcuno aveva creato dei facili guadagni speculativi. Così non si è imposto come leader, forse perché non ne ha la statura, in una Europa politica, a supporto dell’euro, supporto che tutte le monete hanno nel mondo.

L’euro in balia di se stesso senza un’entità politico istituzionale che lo garantisse, è stato nell’occhio degli speculatori internazionali e delle banche fameliche: vale a dire l’anello debole da colpire attraverso l’attacco ai suoi punti più fragili, e cioè gli Stati col maggiore squilibrio nei conti. La deregulation portata da Clinton alle banche, quando invece occorrevano regole maggiori alla globalizzazione, ha fatto il resto, ma tutto quello che è successo è potuto avvenire perché la classe politica europea e mondiale è scadente, incapace di guardare al di là dei propri Stati. E questo mentre i momenti decisivi per gli Stati, come le politiche finanziare, monetarie e della concorrenza, avvengono fuori dei confini nazionali. Berlusconi fallisce perché non ha il coraggio di proporre l’Europa politica, perché nega la crisi, perché non svela la mediocrità della Merkel e di Sarkozy, se non quando è troppo tardi e la sinistra è stordita, perché non capisce che il problema è l’euro. Il problema è l’Europa e come possa competere nel mondo.

Oggi si apre un’occasione storica per il nostro paese, Monti ha una strada obbligata davanti, fare le cose che servono e che ci sono state chieste, fare le riforme e rilanciare l’economia. Ma la politica e il Parlamento italiano hanno un altro compito: porre al centro del dibattito europeo il tema del governo europeo legittimato dal voto popolare. Occorre allora che le forze politiche italiane ed europee pongano il tema dell’elezione di un presidente del Consiglio europeo, quello che oggi è Barroso, eletto direttamente dal popolo degli Stati Uniti d’Europa, rappresentati dalle forze politiche europee che cominciano a mostrarsi in tutti gli Stati col volto della politica vera, cioè quella delle grandi famiglie culturali e ideali che rappresentano il PPE, il PSE, l’ELDR, la destra e gli ambientalisti.

Naturalmente si devono garantire anche le rappresentanze minori, ma ci si presenta proporzionalmente con un candidato a premier e il detentore del governo europeo sarà l’eletto dal popolo europeo e non l’eletto dalle banche . Sarà il primo passo verso l’Europa politica e verso politiche che diano rappresentanza e solidità all’euro. Garantito da un fondo europeo che copre una quota dei debiti pubblici dei singoli Stati e lascia i singoli Stati nella condizione di seguire politiche di risanamento del debito pubblico senza dover comprimere e uccidere le economie. Questo lo può fare Monti col sostegno di tutti; la politica intanto faccia le riforme dello Stato e della legge elettorale, la riforma del pareggio di bilancio in Costituzione. Può essere una grande occasione per il paese, deve esserlo per il PRI, per tutti i repubblicani che vogliono ritrovare la casa comune, per tutti i liberaldemocratici che vogliano rappresentarsi e non farsi filtrare dal populismo, dal cattocomunismo o dalle velleità di chi vuole rifondare la DC. Noi dobbiamo solo trovare l’orgoglio di farlo e la volontà per cambiare passo. Nel nostro mondo ci sono personalità del presente e non solo i grandi nomi del passato per questo: proviamo in questo anno e mezzo ad impegnarci tutti per essere uniti sul progetto e disponibili al merito e alla capacità per selezionare la classe dirigente. Le porte sono aperte e nessuno le può chiudere, ma bisogna avere il coraggio di entrare ed impegnarsi in un progetto, con il rispetto delle regole e delle procedure, e soprattutto cominciamo a guardare avanti e non indietro se vogliamo essere protagonisti dell’avvenire.